Crimini inspiegabili in Germania – L’inferno di Ueckermünde

Dopo la seconda guerra mondiale, la Repubblica Democratica Tedesca (la cosiddetta “Germania Est”) fu dal 1949 al 1990 una dittatura socialista e autoritaria nel territorio della zona di occupazione sovietica. Tale dittatura morì in seguito alla caduta del muro di Berlino e i suoi territori furono incorporati nell’allora Repubblica Federale Tedesca (la cosiddetta “Germania Ovest”). Ho vissuto con i miei genitori non lontano dal temuto centro psichiatrico a Ueckermünde. Nessuno avrebbe creduto possibile che solo 7 anni dopo la riunificazione tedesca, nel 1997, in quel luogo avrei potuto perderci la vita.

Se seguite il link del video del reportage Die Hölle von Ueckermünde (“L’inferno di Ueckermünde”) di Ernst Klee del 1993, anche senza capire la lingua, sarete in grado di capire perché io, nonostante la massiccia resistenza della parte politica tedesca, non possa lasciare nulla di intentato nell’informare sui crimini commessi contro di noi, in quanto sopravvissuto a questa Istituzione. Nell’interesse dei miei numerosi compagni già morti racconto qui la storia dei sopravvissuti. Molti di loro sono scomparsi dalla circolazione senza lasciare traccia, altri vivono con nomi diversi in strutture sorvegliate ma non possono più raccontare di quel tempo.

La memoria delle vittime dell’eutanasia

Il 27 gennaio 2017 il Parlamento ha posto la memoria delle vittime dell’eutanasia al centro del suo servizio commemorativo annuale per le vittime della dittatura nazista. La commemorazione è stata in favore dei malati e dei vulnerabili – persone che dal punto di vista dei governanti nazisti rappresentavano vite indegne di essere vissute, mangiatori inutili, parassiti sul corpo sano del popolo e pertanto da eliminare.
300.000 persone – disabili mentali, fisici e malati psichici – sono morte vittime della barbarie del programma di eutanasia: attraverso l’avvelenamento sistematico, lo sterminio col gas, la morte di fame nelle case di cura e negli ospedali – tutto avvenuto nel centro della Germania. Invece di guarire, curare e soprattutto proteggere i loro pazienti, medici ed infermieri hanno commesso delitti insidiosi in dozzine di Istituzioni.

In modo cinico e perfido gli organizzatori degli omicidi di massa si erano procurati (a se stessi ed ai loro complici esecutivi) un’apparente legittimazione per i loro atti vergognosi: si resero credibili del fatto che la morte fosse una liberazione per le “spoglie senz’anima” dei malati! In questo modo, la distorsione della missione di cura medica si trasformò in presunto atto benefico. Così gli assassini si sono risparmiati qualsiasi conflitto di coscienza e compassione!


I capisaldi dell’eliminazione, del rinnegamento e del rifiuto della colpa da parte loro sono durati per sempre. La memoria collettiva ed individuale si oppose veemente dopo il 1945 al peso del ricordo. La maggioranza dei tedeschi voleva dimenticare e biasimarono quelli che lo volevano impedire! L’emarginazione sociale minacciò “coloro che sputavano nel piatto in cui mangiavano” che avevano cercato di chiarire e di rielaborare, molto più dei colpevoli di un passato concluso come desiderato. E così anche solo una piccola parte del personale medico coinvolto nella strage dei malati non ha mai dovuto risponderne in Tribunale – in molti casi questo accadde solamente dopo decenni e non ebbe per lo più conseguenze: l’imprescrittibilità e l’incapacità permanente di patteggiare hanno impedito una condanna. Le biografie dei colpevoli sboccarono nel frattempo senza problemi a carriere postbelliche di successo e talvolta rapide. Chi voleva toccarli?!

E così è durato fino al 2007 (!), fino a quando cioè il Parlamento ha trovato la forza di ricordare i malati ed i disabili quali vittime del Terzo Reich e di bandire la legge nazista sulla sterilizzazione forzata. Nel 2011 sono stati stanziati dei fondi pubblici per la realizzazione di un luogo di memoria ed informazione che è stato aperto nel 2014 in Tiergartenstraße 4 a Berlino nella sede dell’ex ufficio centrale.

Anche la psichiatria ha impiegato molti decenni ad arrendersi alla discussione sulla parte della sua storia, che include i crimini contro l’umanità durante la dittatura nazista. Prima del 2009 i suoi rappresentanti e le sue Istituzioni non erano stati disposti a cedere.

Come la maggior parte di altri gruppi criminali, l’Istituzione Psichiatria ha scelto il momento del confronto personale con il tema della colpa e dell’errore durante il Terzo Reich, in modo che la sua discussione potesse essere risolta senza alcuna punizione fisica concreta o giuridica – semplicemente perché il passare del tempo aveva messo questi autori già fuori dalla portata della giustizia terrena. La giustizia è per i sopravvissuti e per i loro successori, ma solo in forma simbolica attraverso commemorazioni, letture, memoriali, ecc.

Non si può trascurare che questa forma di ammissione della colpa ritardata giovi soprattutto alla protezione degli autori, mentre le loro vittime sono esposte ai fantasmi dei loro ricordi.

Così è stata la storia di violazione, tortura e maltrattamento di malati psichici in Istituzioni psichiatriche, che pure con la fine del Terzo Reich non era affatto finita. Per citare solo un esempio particolarmente eclatante tra i tanti del periodo postbellico, del post-riunificazione e del passato più recente, il documentario scioccante “L’inferno di Ueckermünde” del giornalista e cronista investigativo del regime nazista, Ernst Klee, che ha fermato nelle parole e nelle immagini le sconcertanti condizioni di un centro psichiatrico della Germania dell’Est nel 1993. Come sanno i lettori del mio racconto-diario “Die Stimmen der Übriggebliebenen” (Le voci dei rimasti), sono io stesso un sopravvissuto del “trattamento” di questa Istituzione; un trattamento, che non aveva nulla di salutare, ma che era caratterizzato piuttosto da violenza, abusi e completo disprezzo da parte del personale medico e che di conseguenza ha portato ad anni di traumatizzazione. Un trauma così difficile da superare che mi sono costati anni per poterne parlare pubblicamente.

Sullo sfondo della storia presentata e delle persone mostrate nel video “L’inferno di Ueckermünde”, parlo nei luoghi pubblici a nome delle voci dei rimasti e pretendo l’assunzione di responsabilità dei colpevoli del passato per le loro azioni: qui e ora, non prima o poi e da qualche parte!

Ueckermünde

Ueckermünde, una piccola località turistica della laguna di Stettino, è stata elogiata in passato in quanto luogo di villeggiatura per famiglie ed anziani. Una cittadina che è diventata una calamita turistica grazie al centro storico modernizzato e alla vicinanza all’acqua. La città è però al tempo stesso teatro di numerosi capitoli della storia oscura. Nel 1875 aprì a Ueckermünde “il più antico ‘ospedale psichiatrico provinciale’ della Pomerania”.

Durante il periodo nazista vi erano stati commessi crimini atroci contro l’umanità. Per l’uccisione mirata di bambini con disabilità, i nazisti istituirono nel 1941 il “reparto per l’infanzia”. Il crematorio esistente dal 1940 era servito per l’eliminazione di numerose vittime. Sul terreno della clinica AMEOS un monumento commemorativo ricorda oggi gli orribili crimini. Ombre oscure che nonostante la posizione idilliaca della città sono rimaste con lei.

Ernst Klee

Quando l’ARD (il principale gruppo radiotelevisivo pubblico in Germania) trasmise il reportage Die Hölle von Ueckermünde (“L’inferno di Ueckermünde”) nel 1993, la risposta dei media fu enorme. Le misure abitative disumane nei centri psichiatrici dell’ex Repubblica Democratica Tedesca avevano causato orrore. Cosa c’era di più orribile? L’argomentazione del personale intervistato, le misure in quanto tali o la vista delle donne e degli uomini spaventati, che per anni avevano visto raramente la luce del giorno, parzialmente accovacciati negli angoli, immobili, o che strisciavano sul pavimento nudo, emettendo suoni gutturali? Le proteste pubbliche sono state seguite da una pacificazione. La scoperta delle cattive condizioni sembrava essere contemporaneamente seguita dalla loro immediata eliminazione. In realtà la situazione rimase sostanzialmente la stessa dietro le porte chiuse. Io stesso, autore del libro “Die Stimmen der Übriggebliebenen” (Le voci dei rimasti), la dovetti subire personalmente nel corpo e nell’anima.

Come tutto iniziò

Il 17 giugno 1997 la mia vita era destinata a cambiare. Stavo frequentando la terza superiore del liceo sportivo quando mi fu diagnosticato per caso un tumore. Non sono riuscito a gestire questa diagnosi. Avevo paura di dover morire troppo presto. Questo shock mi ha colpito nel bel mezzo della mia pubertà, durante la quale la mia riconosciuta omosessualità già da un po’ di tempo mi molestava. Da adolescente non ho mai trovato il coraggio di essere aperto ai miei sentimenti. Ho iniziato a riflettere su me stesso e sul mio comportamento e speravo di trovare un modo di sollievo attraverso il dialogo con Dio. Non sono mai stato il tipo di persona che parlava dei propri problemi all’esterno. Avevo già allora un solo amico stretto, con il quale condivido ancora oggi la mia vita e senza il cui supporto non sarei certamente sopravvissuto a queste esperienze. Guardando indietro, ho avuto i problemi di un adolescente medio, tumore a parte. Non avrei mai ritenuto possibile che questo mi avrebbe condotto direttamente all’inferno di Ueckermünde.

Per riflettere sulle mie preoccupazioni, visitavo regolarmente la chiesa locale di Neubrandenburg. Lì ho trovato la pace, mi sono sentito al sicuro. Anche se non avevo un interlocutore, avevo in quel tempo pensato che la comunità ecclesiastica avrebbe accolto le persone in situazioni di crisi. Nella mia condizione emotiva, il pastore mi aveva rinviato a una guida spirituale nella clinica di Neubrandenburg, che mi accompagnò dopo una conversazione personale nel centro psichiatrico di Neubrandenburg. All’inizio non sapevo dove venissi portato. Speravo di trovarmi in un posto dove le mie preoccupazioni sarebbero state discusse con me. Ma nessuno voleva parlarne con me, fui anzi inserito nel centro psichiatrico e immediatamente rinchiuso.

Il secondo giorno dietro le porte chiuse ho avuto un terribile mal di pancia. “Devo andare in bagno. Veloce! Per favore, per favore!”. Ho camminato nervosamente su e giù. Per nessuna ragione volevo farla nei pantaloni. Tutto si mosse dentro di me. Avevo un dolore terribile. Ho sentito qualcuno girare la chiave nella serratura. L’infermiera mi accompagnò in bagno.

Mi sono seduto sull’asse del water e mi sono tenuto la pancia. Completamente esterrefatto e stordito vidi sangue nel vaso. Questa è la tua punizione, Christian, mi ronzava nella testa. Avresti dovuto mangiare di più. Ma non importava adesso. Il mio corpo era malato.

Per non infastidire nessuno, pulii il bagno e le mie gambe, che erano state macchiate di sangue. Ci è voluto più tempo del previsto. Mi lavai la faccia con acqua fredda e mi diressi verso la mia stanza.

In corridoio due medici e quattro infermieri aspettavano fissando nella mia direzione.

“Cosa volete da me? Perché mi guardate così?”

Non ricevei risposta.

Intimidito e sorpreso da questo assembramento di uomini, mi colse il panico. Mi circondarono. Messo alle strette spinsi da parte il medico, che mi bloccò la strada.

“Legalo!”

Da dietro il dottor Robin mi afferrò il braccio e lo alzò fino a che si arrestò. Faceva male da morire, i miei legamenti si ruppero. Avevo perso forza nelle ultime settimane. Ero troppo debole per difendermi.

“Scusate, scusate, non volevo. Pensavo voleste farmi del male”.

Era troppo tardi. Aprirono la porta del posto di guardia e mi gettarono sul letto. Non avevo idea di cosa mi sarebbe successo. Mi legarono da tutti i lati. Il sanguinoso incidente in bagno fu dimenticato da quel momento. Ora erano in piedi intorno a me, tenendomi e bloccandomi contemporaneamente con le cinghie ai polsi e ai piedi. L’appoggio della cintura all’addome era appena percettibile.

Nel frattempo l’infermiera aveva portato un farmaco e me lo aveva iniettato con fare esperto nella gamba. Mi addormentai brevemente. Quando il mio petto, dopo essermi svegliato, non si sollevò, pensai a Dio.

Era chiaro. Ero stato punito per i miei peccati. Ma mettere in sei così sotto torchio un paziente di diciassette anni, gettarlo sul letto e mettere le cinghie? Non avevo fatto i conti con questo strapotere. Cosa è successo qui?

“Volevo solo essere una persona migliore, mostrare il mio io interiore agli altri. Così come ho sempre fatto prima di Mila”. Ora era seduta accanto al letto un’infermiera intenta a monitorare i segni vitali. Nella mano destra teneva una tazza rosa col beccuccio per versarmi del liquido. La mia gamba sinistra era strettamente legata, rivolta verso l’esterno e troppo attaccata al letto.

“Mi fa male il ginocchio. Può allentare la cinghia?”

“Non posso, signor Discher.”

Mi si strinse nuovamente l’intestino. Me la feci nei pantaloni, sentii il liquido scorrere dal mio didietro sul letto attraverso la biancheria intima. Reagii in modo apatico. Tacqui e sbiancai. Quando mi ripresi, ci misi qualche minuto a capire dove fossi. Chiacchieravano dietro la finestra della sala di sorveglianza e mi squadrarono. Ora non era più la mia coscienza sporca ad infastidirmi, ma lo sbalordimento che mi faceva svenire. E ora ero sdraiato qui, bloccato senza colpa ad un letto.

In ambulanza non c’era più da pensare ai miei progetti per il futuro.

Ueckermünde – l’unità di terapia acuta chiusa

Sentii la velocità mentre scendevamo dalla B 96. L’unità di terapia acuta di Ueckermünde non era lontana dalla mia città natale. Dalla finestra dell’ambulanza vidi passare macchine e alberi. Stordito sentii la sirena acuta. Perché vengo portato via con la luce blu? Cosa direbbero gli altri se mi vedessero qui? Che cosa ho fatto?

Il mio tentativo di comunicare fu interrotto da una puntura nella vena. Nello stesso momento sentii come il farmaco si stesse diffondendo nel mio corpo. Le braccia e le gambe divennero pesanti, mi venne un profondo senso di rilassamento. Iniziai a balbettare, prima di cadere nuovamente nel dormiveglia. Soltanto lo scossone del furgone e l’apertura delle porte posteriori mi svegliarono. Uomini e donne vestiti di bianco mi fissarono sogghignando:

“Aha! Ancora un altro così!”

Rimasi intontito sulla branda, percependo le loro parole e notando l’edificio in mattoni rossi circondato da alberi possenti.

“Voglio restare qui”, dissi all’uomo dai capelli rossi, la cui mezza pelata e il ghigno ironico erano particolarmente strani.

Odorava di aria di mare. Che bello sarebbe sdraiarsi sulla spiaggia adesso, ascoltare le onde e parlare con Mila. Desideravo la libertà e l’indipendenza. Ero troppo stordito per capire cosa fosse successo.

Nell’ambulanza allentarono la barella, che rumoreggiò potentemente. Il suolo era irregolare.

La porta del seminterrato dell’edificio si aprì automaticamente. Attraverso lo stretto corridoio buio mi spinsero in una stanza spaziosa. Ero troppo debole per parlare, potevo a mala pena vedere qualcosa. Mentre i paramedici stavano rimuovendo le cinghie dalla barella, gli infermieri della casa numero 12 ne avevano già preparate di nuove. Brunastri e sfiniti, si stesero sul mio futuro letto in attesa dell’incarico successivo.

I paramedici consegnarono loro il verbale e lasciarono il posto di guardia. All’inizio provai sollievo, anche se il ginocchio sinistro faceva ancora male. Era stato troppo tempo immobile. La biancheria intima mi rimase incollata, cosa che non impedì all’infermiere dai capelli rossi di legarmi di nuovo.

“Buongiorno signora Discher, o come si chiama?”. Come se fosse la cosa più normale del mondo, legare un adolescente di diciassette anni, fece il suo lavoro con gioia.

“Io sono il signor Discher”, risposi io.

Più tardi scoprii che l’appellativo nel saluto alludeva alla mia omosessualità, che avevo dichiarato all’accettazione a Neubrandenburg. In quale altro modo avrebbe potuto altrimenti saperlo?

“Se Lei credesse in Dio non mi parlerebbe così!”

“Dio, Dio, Dio, ha ancora qualcos’altro in serbo? Anche Lui non la può più aiutare adesso! Lei è malato. Risponda semplicemente solo alle mie domande. La smetta una buona volta di dire stupidaggini!”. Mentre mi metteva così a tacere, mi legò le caviglie. Seguirono l’addome e le mani. Lasciò libere le spalle. Dopo che il cosiddetto “esame di ammissione” fu concluso, mi prelevò il sangue. Poi mi pose sul comodino al lato destro del letto un foglio ed una penna.

“Firmi qui sotto, signora Discher!”

Sul sottile e giallastro pezzo di carta lessi “congedo”.

Era normale qui far firmare congedi? Subito mi ricordai delle visite mediche nella mia infanzia.

“Questi documenti sono stati usati solo al tempo della Repubblica Democratica Tedesca.”

“La smetta di brontolare!”

“Ma perché dovrei essere dimesso ora? Dove mi trovo?”. Non ero sicuro, ma credevo di poter tornare a casa.

L’infermiere osservò il mio tentativo di arrivare al pezzo di carta. Non ci riuscii. Ancora e ancora cercai di afferrare il documento. Lui si divertì molto. Io non capii più niente.

“Signora Discher, firma ora il congedo?”

Nonostante la cinghia, potei muovere meglio il braccio destro. Non riuscii però a mettere una firma sul foglio.

Lasciò la stanza scuotendo il capo.

Poco prima di mezzogiorno, dopo più di ventiquattr’ore, gli infermieri mi liberarono dalle cinghie in presenza del medico. Ero completamente impotente e tentai di alzarmi. La mia schiena era rigida e dolorante. Senza il mio controllo la testa si accasciò in avanti. Tutto in me tremava. Dentro di me non sentivo né provavo più niente. Mi sentivo intrappolato vivo nel mio corpo e non potevo farci nulla, ero indifeso ed impotente così come i miei genitori, che si sono trovati di fronte al possente apparato psichiatrico costituito da medici, infermieri e psicologi dell’ex Repubblica Democratica Tedesca.

Dietro le porte chiuse ho incontrato persone di età compresa tra i 30 e i 70 anni. Molti mi hanno raccontato le loro storie dolorose. Non potevo parlare, ero un buon ascoltatore per le persone e non potevo reagire. Non scorderò i loro volti e le loro voci fino all’ultimo giorno della mia vita. Non siamo stati curati ma detenuti come oggetti nell’edificio di mattoni rossi. C’erano scantinati bui dove venivano effettuate le cosiddette terapie. In quanto studente del liceo, durante l’ergoterapia ho dovuto colorare le carote ed etichettare la verdura. Ho avuto esercizi di matematica, dovevo contare ad esempio 11+3=14. Spesso erano le infermiere ad effettuare le terapie.

Dopo otto settimane di permanenza a Ueckermünde potei parlare a malapena per il successivo anno e mezzo. Ogni giorno sentii grida, che potei riconoscere solamente dopo il mio trasferimento dall’edificio in mattoni rossi alla “Casa 40”. C’erano tra l’altro le grida delle persone con disturbi mentali, delle quali Ernst Klee aveva già raccontato nel 1993 nel suo reportage “Die Hölle von Ueckermünde” (L’inferno di Ueckermünde). Ad oggi, sono scomparse dalla scena senza lasciare traccia.

Dopo la dimissione sono stato pluridisabile. Che la mentalità che avevo conosciuto a Ueckermünde sarebbe continuata nell’assistenza medica durante la convalescenza, lo ho dovuto constatare con orrore dopo la mia dimissione.

Le persone che ho conosciuto o intervistato di recente in merito alle loro esperienze nei famigerati centri psichiatrici, che là sono stati rinchiusi al tempo della Repubblica Democratica Tedesca, dopo la riunificazione delle due Germanie o come me nel 1997 o in seguito, raccontavano e raccontano ancora oggi di avvenimenti crudeli che non riescono più a superare. Una parte di queste persone non vive più o sono sopravvissute ai centri psichiatrici da pluridisabili.

Elisa

Così la mia amica Simone Stark, alias Elisa, che fu portata nel centro psichiatrico di Ueckermünde prima della caduta del Muro, mi raccontava che ritenesse che il suo ricovero fosse stato motivato politicamente dalla coppia di psichiatri Krause a Neubrandenburg, poiché aveva pubblicamente simpatizzato per i testi di Marx e Engels e tenuto discorsi politici.

Era stata violentata dal custode nel centro psichiatrico di Ueckermünde. Quando non godeva del favore del personale comportandosi secondo gli standard veniva legata al letto, torturata, sedata e umiliata. Dopo la sua permanenza nel centro psichiatrico le è stato impedito non solo di continuare a frequentare la scuola, ma le è stata negata anche qualsiasi ulteriore formazione. Non si riprese più completamente dalle terribili esperienze nel centro psichiatrico di Ueckermünde. Purtroppo oggi non vive più.

Birgit

Simile è il caso della mia compagna Birgit, della quale racconto con lo stesso nome nel mio libro. Mi raccontò che gli infermieri per loro benevolenza le aprivano ad esempio la terrazza per poter fumare o riceveva sigarette in cambio di prestazioni sessuali.

Anche Birgit ha riferito che un comportamento non adeguato veniva castigato con misure punitive, legando i pazienti al letto o sedandoli brutalmente. Birgit è stata portata a Ueckermünde sia al tempo della Repubblica Democratica Tedesca sia dopo la riunificazione delle due Germanie e può testimoniare che il personale che l’aveva trattata allora nel periodo della Repubblica Democratica Tedesca era parzialmente cambiato e che l’atteggiamento dello stesso rimase uguale anche dopo il 1990.

Antje

Numerose somiglianze si riflettono ancora nella storia della vita della protagonista Renate, che nella vita reale si chiama Antje Dreist. Provenne da una famiglia con un passato politico nella  Repubblica Democratica Tedesca, le cui ampie relazioni nel giro delle autorità portarono, dopo il primo ricovero della figlia nel centro psichiatrico, all’aumento della cerchia di conoscenze, arrivando così al controllo del personale medico e di cura. La sorella del padre era ufficiale sanitaria nell’Ufficio Igiene a Neubrandenburg, e aveva a sua volta stretti contatti con il servizio socio-psichiatrico e con l’ufficio di assistenza principale, così pure con tutti gli psicologi e psichiatri locali. La ricerca ha dimostrato che avesse avuto luogo un intenso scambio tra i medici, le rispettive autorità e i genitori di Antje. A questo proposito il personale medico ed amministrativo operativo ha regolarmente violato il segreto professionale.

Dove sono andate a finire le persone mostrate nel reportage “Die Hölle von Ueckermünde” (L’inferno di Ueckermünde)?

Dopo aver fatto tutto il possibile per portare avanti l’informazione, la mia petizione non ha trovato considerazione né al Ministero della salute né al Consiglio provinciale. Mi chiedo perché il ministro della salute della CDU (Unione Cristiano-Democratica) del Meclemburgo-Pomerania Anteriore,  Harry Glawe, nel Parlamento in cui Angela Merkel ha la sua cerchia di elettori, non promuova la revisione della violazione dei diritti umani. E’ forse perché Harry Glawe stesso al tempo della Repubblica Democratica Tedesca aveva lavorato come infermiere psichiatrico non lontano da  Ueckermünde e vuole proteggere tutte le persone coinvolte negli avvenimenti ingiusti?

Lo psichiatra dottor Rainer Gold

Così ad esempio lo psichiatra dottor Rainer Gold, le cui macchinazioni criminali – nelle quali era coinvolto nella clinica Wilhelm-Griesinger a Marzahn, Berlino – furono scoperte già nel 1991 dal Der Spiegel (rivista settimanale tedesca). Il dottor Gold è stato direttamente coinvolto nel testare senza scrupolo alcuno nuovi farmaci su ignari pazienti, senza il loro consenso, a prescindere dal rischio connesso di possibili danni per la salute o effetti collaterali potenzialmente mortali per questi.

Lo psichiatra Gold non è stato smascherato solo in quanto sperimentatore di farmaci. Nel 2006 il sindaco Andreas Grund non ha lesinato sforzi nell’invitarlo ad una manifestazione di commemorazione pubblica in onore dello psichiatra Emil Kraepelin. In tale occasione il dottor Gold ha ricevuto elogi per i suoi risultati scientifici. Di esempio per il significato di Kraepelin nella comunità psichiatrica, Gold citò la coniatura della classificazione dei disturbi psichici e la suddivisione delle malattie di Kraepelin. Kraepelin è stato uno dei più zelanti promotori della ricerca scientifica sull’alcolismo, sottolineò Gold. Come può essere che lo psichiatra Emil Kraepelin riceva una targa commemorativa, lui che si dimostra diffamatorio degli ebrei nei suoi scritti, che elabora tesi oscure su ciò che per lui è diverso e omosessuale, lui che ha discusso dell’eliminazione di persone non adeguate, i cui scritti avevano animato tra l’altro il suo responsabile di allora, Rüdin, alla co-fondazione della società tedesca per l’igiene razziale e aprirono i portoni e le porte naziste alle azioni di sterminio?

Mentre questa targa commemorativa è ancora oggi collocata in Glambeckerstraße 14 a Neustrelitz, il portatore della Croce al merito, il dottor Peter Lehmann, sollecita la condanna pubblica arretrata di Kraepelin in quanto uno dei precursori ideologici del genocidio psichiatrico durante il periodo della dittatura di Hitler (Lehmann; 1992, 2010, pagg. 25-37; 2017). Non vi è stata alcuna reazione alla richiesta al sindaco Andreas Grund di poter rimuovere la targa.

Il ministro degli Affari sociali, dottor Klaus Gollert

Oppure l’attuale ministro della salute, Harry Glawe, vuole proteggere i suoi compagni politici, come ad esempio il ministro degli Affari sociali, il dottor Klaus Gollert, che solo recentemente nel 2015 derise le vittime del reportage e quelle che furono trattate là dopo l’apparizione dell’inferno di Ueckermünde. Per Gollert queste non sono state le atrocità che ha ricordato nel suo discorso al venticinquesimo anniversario della Provincia del Meclemburgo il 17 novembre 2015 ma, citandolo: “La cosa più negativa che ho vissuto nel mio governo e al Parlamento è stato il documentario su ‘L’inferno di Ueckermünde’. Forse ci sono alcuni che già lo sanno – era deprimente che in questo posto, dove noi avevamo già fatto così tanto, qualche troupe televisiva era lì nel manicomio e ha ripreso e mostrato cose davvero brutte. Ma è stato, come ho detto, un momento in cui stavamo recuperando e non siamo riusciti a ottenere tutto in una volta.”

Non posso e non mi riterrò soddisfatto finché non sarà convocata una commissione d’inchiesta per chiarire questo capitolo dell’oscura storia tedesca.

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